Chissa’ perche’, e’ come una carezza.
Si, lo ammetto. E’ con una certa emozione e gioia che apro il post odierno. Il Dream Blog da sempre parla di sogni, di sogni che nascono da un’emozione, da un ricordo, da una fantasia, da un’interiorità che lascia un segno nel momento in cui la si vive.
A volte rimangono nella nostra immaginazione. Altre volte si concretizzano. Forse sono belli anche per questo.
I sogni del Dream Blog, lo sappiamo, sono tutti legati al mondo Costa Crociere – presente, passato e futuro – come quello odierno.
E’ con assoluto piacere ed onore che cedo oggi il post ad un ospite davvero speciale …
Filippo – Dream Blog
Immagine di proprietà di Vittorio Anselmi – Tutti i diritti riservati
Vittorio Anselmi
Chi sono:
Mi chiamo Vittorio Anselmi, ex Cameriere, Capo alloggi, Maitre D’hotel, Maestro di casa, Comm.rio Food & Berage Manager, Direttore dei servizi, Hotel Manager, e alla fine dei miei 44 anni di vita trascorsa a bordo della navi Costa, Marittimo in Pensione.
Ogni tanto ritorno a bordo come comune passeggero ed alcune volte invitato in qualità di Ospite storico D’onore, naturalmente a bordo delle navi della Costa Crociere, durante alcuni grandi eventi.
Immagine di proprietà di Vittorio Anselmi – Tutti i diritti riservati
60 anni di Costa Crociere. Vittorio Anselmi ospite d’onore a bordo di Costa Mediterranea
Desidero ringraziare vivamente, con sincera stima e ammirazione:
Il Geniale amico Filippo F., autore di questa significativa iniziativa: Il secondo sondaggio del Dream Blog”, inerente: la nave del passato che più si ricorda con piacere e nostalgia.
Non mi ha meravigliato affatto la vittoria dell’Eugenio C.
Ho sempre saputo senza dubbio alcuno che avrebbe vinto, io che ho navigato per 44 anni su tutte le navi Costa eccetto
L’Eugenio Costa, non’è una nave comune, ne un transatlantico e nemmeno un piroscafo. L’Eugenio Costa è
Questo succede a chi ha avuto la fortuna e il privilegio di conoscerlo/la o di navigarlo/la specialmente il sottoscritto che ho vissuto con lei / lui il più bel periodo della mia vita.
Avrete notato che malgrado la nave sia femminile il nome è maschile, pertanto capita spesso di nominarla cambiandole sesso, ma non importa è sempre la più bella, Regina o Re che sia, continua a vivere nei nostri cuori.
L’ho amata e continuo ad amarla come tutti coloro che vi abbiano viaggiato o lavorato come il sottoscritto. Tanto è vero che, per non dimenticarla e tenerla viva come se stesse ancora solcando i mari di tutto il mondo, ho avuto l’idea di fondare assieme al Signor Giovanni Costa ed altri colleghi, L’”Eugenio c Club”.
Visitate il nostro sito internet, vi troverete tante bellissime foto e cose interessanti inerenti
Vi renderete conto che cosa ha rappresentato e cosa ancora rappresenta per noi questa grande opera di Ingegneristica navale, e il perché l’amiamo così tanto.
www.eugenioc-club.it – e mail: vanselmi@eugenioc-club.it
Vorrei stare qui con voi a raccontarvi storie di bordo, belle e meno belle alcune anche drammatiche, ma che vale la pena di conoscerle.
Sono sempre molto occupato, ma vi prometto che tornerò a raccontarvi.
A presto risentirci.
Vittorio Anselmi
Immagine di proprietà di Vittorio Anselmi – Tutti i diritti riservati
Nel frattempo vi consiglio di leggere l’Autobiografia dell’EUGENIO C: “L’ultimo dei Transatlantici”, scritta da uno dei suoi più grandi e tanto amati Comandanti: Piero Norberto Buatier de Monjeot.
Però prima di iniziare a leggere quanto segue, vi consiglio di munirvi di fazzoletti, ne avrete bisogno.
Immagine di proprietà di Vittorio Anselmi – Tutti i diritti riservati
Vittorio Anselmi
MI RACCONTO
Testo del Comandante Buatier
La mia storia comincia a Monfalcone il 21 Novembre del 1964.
Là sono nato, o sono stato costruito, come dicono gli uomini.
Sono stato battezzato in quello stesso giorno.
Per noi navi la nascita si chiama varo ed è, tanto per intenderci, una scivolata in mare lungo lo scalo.
Un grande splash e ci si accorge di galleggiare.
Il battesimo precede la scivolata.
Una bella ragazza o una signora importante ti spaccano una bottiglia in testa.
Ho saputo che di questi tempi le cose non si fanno più così: niente scivolata in mare.
Le navi vengono costruite a pezzi in un bacino, quando i pezzi sono tutti saldati si riempie il bacino e la nave galleggia.
Ho detto “sono nato”, ho infatti un nome maschile : “ EUGENIO”.
Eppure essendo nave, sono costretto ad essere femmina.
“A ship is a she.” Lo dicono gli inglesi da qualche secolo.
E loro in mare ci sanno fare. Ma in questa storia ho deciso di usare il maschile. E gli inglesi non possono più impedirmelo: non esisto più.
Oltre al sopruso della mia imposta femminilità, appena ho cominciato a guardarmi intorno mi sono reso conto di avere un nome un po’ strano : “Eugenio C.”.
Ma cos’era quella “C.”?
Le navi concorrenti avevano nomi importanti, di personaggi che tutti conoscevano in Italia e nel mondo.
Solo molto più tardi i miei padroni si sono accorti che quella C non mi rendeva giustizia e fui ribattezzato (senza bottiglia in testa)
“Eugenio Costa”, un degno personaggio di quella stirpe.
Mi hanno voluto dire che quelle iniziali erano comunemente usate dagli Armatori genovesi per risparmiare pittura: tante lettere in meno sullo scafo.
Ma è solo una settimana dopo, da un porto chiamato Genova, che doveva iniziare la mia vita di lavoro.
Ero destinato a trasportare attraverso un Oceano oltre milleduecento passeggeri in vari porti di un continente meridionale. Li ho imparati a memoria i nomi di quei porti.
L’ultimo si chiamava Buenos Aires e si raggiungeva a fatica attraverso un fiume fangoso dal nome immeritato: “Fiume d’Argento”.
Più di duecento viaggi in vent’anni.
Ho visto sparire le navi più importanti. Sono finite in maniera dolorosa: bruciate da un incendio, vendute e finite all’ancora in porti remoti, relegate a far da caserma in rade deserte.
Io sono sopravvissuto per tanti anni ancora, anche quando si è saputo che nessuno voleva più partire per quel continente meridionale. O, se dovevano andarvi, lo facevano attraverso il cielo su navi volanti, molto più veloci e senza far la fatica di dover spingere tutta quell’acqua con la prora.
Gli uomini allora hanno scoperto per me un altro mestiere: da transatlantico che ero mi hanno trasformato in “cruise ship”, in nave da crociera.
Dovete sapere che gli uomini in quegli anni si sono finalmente resi conto di vivere in un gran bel mondo e ha preso loro la voglia di conoscerlo viaggiando per mare.
E hanno cominciato a imbarcarsi sulle navi e a navigare da un porto all’altro per una settimana, per un mese o addirittura per tre mesi, attorno a questo nostro globo, tornando, alla fine, sempre a casa propria.
Sono stati, quelli,anni di gloria.
Non ho mai dimenticato quei due giri del mondo.
Il Comandante mi ha condotto per la prima volta, e con me tutti i novecento passeggeri, in un paese lontano e misterioso chiamato Cina. Un paese dove nessuno era stato da moltissimi anni.
In questo loro porto cinese chiamato Shangai nessuno aveva mai visto in mare nulla di più bello del sottoscritto.
Non potete immaginare l’orgoglio di una nave bella, bianca e piena di bandiere che domina una città.
Alla fine del secondo di questi viaggi ho avuto l’opportunità di dare una mano al mio Comandante.
Avevamo appena lasciata un’isola chiamata Madeira, quando l’Oceano impazzì.
Non avevo mai visto nulla di simile. Ci siamo trovati in mezzo ad un Golfo che io conoscevo poco.
Era rispettato e temuto da chi andava per mare.
Lo avevo attraversato solo d’estate, col bel tempo di luglio, diretto ai porti del Nord.
Sul Ponte, in quell’uragano, si parlava di Libeccio, un vento mostruoso che alzava il mare.
E non potevo trattenermi dal rollare. Trentasei gradi dicevano sul Ponte.
E tutto dentro di me si staccava, si rovesciava.
Gli stabilizzatori, specie di palette che sporgevano dalla parte più profonda della carena, erano impotenti.
Il Comandante aveva ordinato ai passeggeri di non lasciare le loro cabine. Pena la ghigliottina.
La punizione del Golfo durò cinquanta ore. Ho trovato riparo a ridosso di un’isola bella – Belle – come dicono i francesi.
Ho saputo con orgoglio di aver ricevuto i complimenti della più importante organizzazione navale del mondo, i Lloyds, per essere riuscito ad attraversare senza danni quel Golfo nella tempesta. La tempesta più spaventosa degli ultimi quarant’anni.
Il Comandante che mi ha portato intorno al mondo e attraverso quella tempesta mi ha lasciato nel 1987.
Alla fine del suo ultimo viaggio, all’arrivo a Genova, mi ha consegnato al suo successore con queste parole : “She’s all yours” ,”E’ tutta tua”.
Ho continuato per altri anni a viaggiare, con le mie due “C” sulle ciminiere, attraverso mari ed oceani dal Mediterraneo all’Atlantico, dall’estremo Nord all’estremo Sud, fino ad un continente di ghiaccio chiamato Antartide.
Ed è venuto il momento più triste della mia vita: sono stato venduto.
Ho sentito di non contare più niente.
Avevo poco meno di trent’anni. Dicono siano tanti per una nave.
Mi è stato cambiato nome. Niente più “C” sulle ciminiere: sono divenuto la “Edinburgh Castle” e ho lasciato Genova per sempre.
Ho cambiato ancora padrone e nome. Mi hanno dipinto tutto di rosso. “Big Red Boat II” è stata la mia ultima stravagante trasformazione.
Dopo qualche tempo – il mondo era appena entrato nel nuovo secolo – sono stato abbandonato.
Per più di quattro anni sono rimasto legato ad una squallida banchina in un’isola minore delle Bahamas.
A quel punto non mi fregava più nulla di essere maschio o femmina.
Ho avito ancora un momento di speranza. Ho saputo, anche le navi lo sanno, che un gruppo di uomini di buona volontà, intendeva riportarmi a Genova perché vi rimanessi ormeggiato per sempre come “L’ultimo dei Transatlantici”.
A ricordo di una grande era nella storia della navigazione.
Non se ne è fatto niente. Genova non mi ha voluto.
Costavo troppo per la città del “ maniman”.
Sono stato condotto in una orribile spiaggia al di là di due Oceani e fatto a pezzi.
Condotto un corno! Ci sono andato io con quel quarto di cuore che mi era rimasto.
E’ stato come rinascere.
Come quella prima uscita a Monfalcone. Anche se i miei occhi non vedevano il mare scorrere veloce sulle mie fiancate. Adagio, adagio.
Era un viaggio che volevo non finisse mai.
La mia ultima spiaggia è stata Alang in India, il mattatoio delle navi.
Non sono più una nave ma continuo a vivere in ciascuno di quei ferri, grandi e piccoli in cui sono stato suddiviso e riutilizzato: la carrozzeria di un’automobile, la lamiera di una nuova nave, una macchina da guerra, una scatola di sardine.
Ognuna di queste creature ha una vita propria, trasporta, uccide, contiene.
Ma io mi trovo assai meglio in un piccolo pezzo di lamiera che riposa sulla scrivania delle persone che mi hanno voluto bene.
Una di queste, che mi ha portato attorno al mondo, tutte le volte che siede alla scrivania mi afferra, mi trattiene e mi sposta di qualche centimetro…………
Chissa’ perché è come una carezza
Comandante:Piero Norberto Buatiè de Monjeot