Da Costa a Costa. Un mare di argomenti.
26 Marzo 2011
E’ l’ora della Terra!
Ad aprire, oggi, la consueta rubrica del Dream Blog dedicata al rispetto dell’ambiente, al mare e a tutte le principali iniziative collegate, la grande, globale iniziativa "Ora della Terra" promossa dal WWF di cui abbiamo avuto modo di parlare qualche tempo fa.
Ricordatevi: sabato 26 marzo 2011. Basta un click!
Un grande mistero avvolge la scoperta di due giganteschi vortici, di approssimativamente 400 chilometri di diametro, nelle acque dell’Oceano Atlantico di fronte alle coste dell’Amazzonia. Si tratta dei più grandi gorghi mai localizzati sulla Terra, e si sospetta che abbiano notevole influenza sui cambiamenti climatici globali di questi ultimi tempi.
I vortici, individuati a duecento chilometri al largo della Guyana, del Suriname e della Guiana francese, sembra abbiano origine dall’interazione della Corrente del Nord Brasile, proveniente da nord, con la Corrente Sud-Equatoriale che procede da sud, e dall’enorme foce del Rio delle Amazzoni da ovest.
"I vortici girano in senso orario – ha dichiarato il brasiliano Guillerme Castelao, che sta studiando i colossali mulinelli con l’americano Bill Johns, dell’Università di Miami – Si muovono nell’oceano come un immane frisbee lanciato nell’aria. La rotazione avviene alla velocità di un metro al secondo, molto rapida in confronto alle correnti oceaniche, e sui bordi del mulinello c’è un’onda-gradino di 40 cm”.
In pratica sono due autentici ”uragani” di mare. La loro origine deriva possibilmente dalla ”curva” accentuata che la costa fa all’altezza dello stato brasiliano dell’Amapà, e di fronte alla Ile du Diable.
Ma questa particolarità geografica non è sufficiente per spiegare il fenomeno: gli studiosi infatti hanno trovato che, anche nei mesi in cui il movimento delle correnti e il flusso del Rio delle Amazzoni sono quasi inesistenti, gli immensi vortici restano ancora là.
"Questo suggerisce che esista un tipo di meccanismo indipendente nella loro formazione”, aggiunge uno studio pubblicato dalla Unione Geofisica Americana. Ma questo congegno naturale resta un mistero.
Adesso si studia l’influsso di questi due vortici sul clima di tutta l’America Latina e dell’Africa. Ultimamente il fenomeno conosciuto come ”El Nino”, che consiste nel riscaldamento anormale delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico, si sta spostando anche nell’Atlantico tropicale, causando anomalie nel clima dell’Amazzonia e della costa ovest dell’Africa. In più si stanno verificando negli anni recenti degli insoliti ”cicloni” al largo delle coste del meridione del Brasile, che sono arrivati ad interessare con morti ed alluvioni lo stato brasiliano di Santa Catarina. I gorghi possono anche influenzare la navigazione fra il nord e il sud Atlantico.
‘‘Se le navi sapessero dei vortici – conclude Johns – potrebbero anche economizzare combustibile usando a proprio favore questo flusso estremamente veloce di corrente”.
(Fonte: ANSA)
Al via un nuovo progetto pilota per combattere la caccia diretta o la morte accidentale dei dugonghi, mammiferi marini in via di estinzione. La campagna è stata lanciata dal presidente della Repubblica di Palau, un’isola del Pacifico a circa 800 km dalle Filippine.
Questo piccolo Stato del Pacifico ospita la più piccola, più remota e gravemente minacciata popolazione di dugonghi nella regione. La campagna per proteggere questi animali, guidata dal Programma regionale ambientale per il sud Pacifico (Sprep) insieme alla Convenzione Onu sulla conservazione delle specie migratorie degli animali selvatici (Cms), avrà come destinatarie le comunità locali costiere e di pescatori, anche perché i dugonghi rimasti ormai vivono nelle acque costiere e delle isole, dall’Africa orientale all’isola di Vanuatu nel Pacifico.
"Le misure innovative lanciate – ha affermato Elizabeth Maruma Mrema, segretario della Convenzione Onu sulle specie migratorie – nell’ambito del piano di azione della Convenzione, aiuteranno a proteggere i dugonghi e altre specie marine. In particolare, saranno promossi incentivi finanziari per assicurarsi che la conservazione e lo sviluppo sostenibile si concilino con le comunità locali".
Due progetti pilota sono già partiti a Daru, Papua Nuova Guinea e in Mozambico, attraverso prestiti e pagamenti dei servizi degli ecosistemi, per diminuire le catture e per modificare le attrezzature da pesca perché diventino più "amiche dei dugonghi".
Le principali cause di morte di questi animali, ormai rarissimi, sono infatti il bracconaggio, caccia insostenibile, catture accidentali nelle reti da pesca, collisioni con le imbarcazioni e degrado degli habitat.
(Fonte: ANSA)
Probabilmente non basterà a sostituire l’atomo, ma anche il mare può fare la sua parte nella produzione di energia, insieme a sole, vento e le altre rinnovabili. Lo dimostra l’esperienza della Scozia, dove il governo ha dato luce verde al progetto per quella che dovrebbe essere la più grande centrale al mondo che sfrutta le maree. A partire dal 2013 l’impianto dovrebbe aggiungere ulteriore lustro all’isola di Islay, già famose per le sue distillerie, che peraltro verranno alimentate proprio con l’energia del mare.
La centrale sarà formata da 10 turbine da un Megawatt, simili esteticamente a quelle usate per le centrali eoliche, messe in rete tra loro alla profondità di 30 metri. Ad essere sfruttate saranno le correnti del canyon sottomarino tra l’isola di Islay e quella di Jura, dove la marea raggiunge una velocità di 11,4 chilometri orari. L’elettricità prodotta è doppia rispetto a quella necessaria alle 5mila famiglie che vivono sull’isola, e sono già stati siglati contratti con alcune delle distillerie per l’utilizzo di quella in eccesso.
I 10 Megawatt totali sono comunque una piccola parte di quelli sfruttabili dalle maree in Scozia, stimati in 7,5 Gigawatt. Il costo di questo progetto, finanziato parzialmente dal governo scozzese, è stimato intorno ai 45 milioni di euro: "La Scozia ha un quarto dell’energia da maree d’Europa – ha spiegato John Swinney, segretario alle finanze – questa è una potenzialità incredibile per generare energia verde e creare nuovi posti di lavoro".
Fino a questo momento l’unico sfruttamento su larga scala dell’energia delle maree è quello da parte della centrale da 240 Megawatt di La Rance, in Francia, che produce da 40 anni con una tecnologia però molto diversa e più "invasiva" per l’ecosistema, che ha però già ripagato da un pezzo i costi di costruzione e fornisce elettricità a un prezzo più basso di quella ottenuta dalle centrali nucleari.
(Fonte: ANSA)
Nel Mediterraneo galleggiano circa 500 tonnellate di rifiuti plastici, prevalentemente sacchetti, con una concentrazione che supera addirittura quella delle ‘isole di plastica’ dell’Atlantico e del Pacifico.
L’allarme è lanciato dal rapporto “L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino” realizzato da Arpa Toscana e dalla struttura oceanografica Daphne di Arpa Emilia Romagna su richiesta di Legambiente.
L’Italia, nei confronti dei detrattori della norma che ha vietato i tradizionali sacchetti dal 1° gennaio di quest’anno a favore degli shopper biodegradabili, è ferma. A confermarlo il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo: "La mia posizione è che noi non torniamo indietro". "La norma – ha spiegato il ministro – è stata accolta molto positivamente dalla gente con grande condivisione e apprezzamento. Mi dispiace per coloro i quali hanno creduto nella possibilità di non far entrare mai in vigore questa norma. Ci sono stati tre anni di tempo per attrezzarsi".
"Noi oggi – ha spiegato Prestigiacomo – abbiamo un solo problema che è quello di risolvere la mancata notifica che, di fatto, ci espone con l’Ue”. Questo "probabilmente – ha proseguito il ministro – ci porterà a varare una nuova norma che dovrà essere prima notificata in sostituzione di questa attuale, che sarà anche più dettagliata e risolverà alcuni dubbi. Ma senza sospendere la norma che è in atto”.
La concentrazione più alta di rifiuti derivanti dai vecchi shopper è stata trovata a largo dell’Isola d’Elba, dove il numero di frammenti rilevato è di 892.000 elementi, contro una media di 115.000 frammenti plastici per chilometro quadrato.
"Ormai il fondo del mare italiano ha un vero e proprio tappeto di rifiuti che – ha confermato Fabrizio Serena di Arpa Toscana, che ha annunciato l’inizio di un progetto pilota che coinvolge i pescatori nella ripulitura dei fondali – in Adriatico sono dovuti soprattutto all’apporto dei fiumi, mentre nel Tirreno i responsabili sono prevalentemente i traghetti".
(Fonte: ANSA)