Morto il comandante dell’Achille Lauro dirottata
Negli anni ha spesso ricordato vicenda,’per anni ho avuto paura’
Quei giorni non li ha mai dimenticati, neanche per un attimo. Non ha mai dimenticato i terroristi, la paura, il dirottamento della nave da crociera della quale era comandante, l’Achille Lauro.
Era il 7 ottobre del 1985 quando il comandante Francesco De Rosa visse una vera e propria pagina della storia.
La scorsa notte è morto, nella sua Gragnano (Napoli): aveva 80 anni. Quei giorni li ha raccontati, più volte. Fu a Genova che i quattro terroristi, membri del Fronte per la liberazione della Palestina, frangia estrema dell’Olp presieduto da Yasser Arafat, si imbarcarono sul transatlantico Achille Lauro, ben 700 passeggeri a bordo. Poi, alle ore 13 del 7 ottobre, fecero irruzione nella sala da pranzo iniziando a sparare in aria e ferendo nella confusione un marinaio. In quel momento, sulla nave, c’erano 320 membri dell’equipaggio e 107 passeggeri, gli altri erano sbarcati per una visita al Cairo.
L’obiettivo iniziale era quello di compiere un attentato nello scalo israeliano di Ashdod ma, scoperti dagli ufficiali delle navi mentre nascondevano le armi, misero in atto il dirottamento. I terroristi volevano la liberazione di 50 palestinesi detenuti in Israele e fu allora che iniziò una serrata trattativa internazionale. Una trattativa che contò anche una vittima: un passeggero ebreo con passaporto americano, disabile, Leon Klinghoffer. Fu ucciso e gettato in mare.
De Rosa, negli anni, ha parlato spesso, anche in un libro (“Terrorismo, forza dieci”) di quei giorni e del terrorista Abu Abbas. “Venne sottobordo con un rimorchiatore per recuperare i quattro terroristi che avevano assaltato la nave – raccontò anni fa De Rosa – quando aprì il portellone dell’Achille Lauro, allargando le braccia e sorridendomi mi disse ‘Capitano, tutto bene sulla nave’?”. “Un sorriso maligno, il suo, che mi ha accompagnato sempre – aggiunse – E ancora più beffardo fu il suo congedo, quando dopo aver fatto scaricare il bottino che i suoi avevano accumulato, mi chiese scusa per quello che avevano fatto”. Ha continuato ad avere paura, anche dopo quel giorno, il comandante: “Durante le fasi del sequestro i terroristi a lungo mi parlarono della mia casa di Gragnano, me la descrissero minuziosamente a testimonianza del fatto che il sequestro era stato preparato nei minimi particolari. E quelle parole mi sono spesso tornate alla mente. E se ritornassero? Mi sono più volte detto”.
(ANSA)
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